Il mindsetting come forma mentis: progettare cosa diventare e dove arrivare

In questa lezione affrontiamo un tema che riguarda la vita di tutti gli individui ma noi, nel contesto accademico, lo approfondiamo in una logica certamente più specifica e tecnica. Ci riferiamo al mindset, letteralmente “settaggio della mente” che ha, senza ombra di dubbio, un impatto radicale e pervasivo nella nostra quotidianità.


Procediamo per gradi, partendo dall’inizio. Cosa significa esattamente il vocabolo inglese “mindset”, come tradurlo nel nostro idioma?

Onestamente, da principio, dobbiamo riconoscere che in italiano non troviamo un termine tanto appropriato, così calzante, da rendere alla perfezione il concetto da un punto di vista prettamente tecnico. Ecco pertanto la necessità di ricorrere a un escamotage, rifacendoci – a titolo esemplificativo ma non esaustivo – alla tanto fortunata quanto esplicita locuzione latina di forma mentis.

In tutta franchezza, anche questa felice quanto diffusa espressione non riesce a chiarire la miriade di implicazioni insite in un concetto tanto vasto e intriso di tecnicismi.

È però, se non altro, un punto da cui partire.

La sua somiglianza all’italiano ci consente di “visualizzare” mentalmente, nell’immediato, l’evidente riferimento a tutto ciò che dà forma alla nostra mente.

Riprendendo il concetto filosofico di tabula rasa[1], è pressoché scontato riconoscere che quando veniamo al mondo, cominciando a interagire con la realtà circostante, siamo tutti delle lavagne bianche, con delle menti “vuote” che devono essere programmate, prendere forma, appunto.

Paradossalmente però, in una tabula rasa, sgombra per definizione, regna il caos, dovuto alla proibitiva convivenza di tutto e del contrario di tutto, che finiscono per annullarsi e azzerarsi vicendevolmente.

Una mente allo stato embrionale, una tabula rasa per l’appunto, è pura potenzialità ancora inespressa.


Il cervello, la cui natura intrinseca è quella di grande organizzatore, cerca di mettervi ordine, di razionalizzare questo caos, di regolamentare e plasmare questa massa caotica e ribelle, impostandola attraverso criteri specifici (setting), tali da impedire al pensiero di andare a spasso troppo liberamente, di vagabondare senza meta.

Ecco il motivo per cui, sin dalla nascita, i nostri cervelli cominciano a imprimere i primi caratteri su quelle lavagne immacolate, a modellare le nostre formae mentis inizialmente senza capo né coda. Di conseguenza, ognuno di noi costruisce, passo dopo passo, una sua forma mentale unica.

Anche la scuola, naturalmente, contribuisce a modellarne alcune parti. Ci insegna a ragionare, per esempio facendoci riflettere sul nostro passato, attraverso lo studio della Storia, o sulle eterne questioni esistenziali nel caso della Filosofia.

Si tratta di una forma grossolana, abbozzata, ancora provvisoria, tuttavia pur sempre finalizzata a utilizzare meglio le nostre funzioni cerebrali nelle molteplici esigenze della vita.

Per fare un altro esempio, la Matematica è oggi indispensabile in innumerevoli ambiti: ci aiuta a comprendere l’utilità dei numeri, a fare i conti, anche semplicemente quelli più elementari, ai quali peraltro facciamo frequente ricorso, come quando ci capita di dover controllare uno scontrino fiscale o la fattura mensile di un’utenza di casa.

Certamente, se fossimo stati uomini primitivi, i cui bisogni primari erano raccogliere il cibo che cresce spontaneamente su alcune piante o andare a caccia di prede per sopravvivere, non ci saremmo minimamente preoccupati di forgiare una forma mentale di tipo matematico, quanto piuttosto del bisogno di ordinare il caos delle immagini che colpiscono la nostra retina.

Pensiamo al caso di un cacciatore-raccoglitore che non avesse ancora acquisito la giusta sensibilità per riuscire a distinguere le foglie mosse da una possibile preda in fuga o in agguato, da quelle spostate da una banale e innocua raffica di vento: trattandosi per lui di un’evidente questione di vitale importanza, ecco che farebbe tutta la differenza del mondo avere sviluppato e perfezionato questa forma mentale ad-hoc.


La forma mentis creata con il contributo della scuola, quella più elementare e grezza, per intenderci, è sì utilissima, ma costituisce solamente il primo passo di un processo ben più articolato. Arrivato a un certo punto, infatti, il cervello rimane come in attesa, sospeso in un limbo, perché ha bisogno di nuove informazioni, stimoli ulteriori, per riuscire a modellare in maniera ancor più adeguata e finalizzare al meglio quella stessa forma mentale.

Questa è la ragione per cui, al mutare delle esigenze, quando si aspira legittimamente a vivere meglio, a specializzarsi e avere successo in un determinato ambito piuttosto che in un altro, non è più sufficiente la forma acquisita, per esempio, negli anni precedenti alla nostra uscita dalla scuola dell’obbligo.

Quella che andava bene fino a poco tempo prima, smette di essere adeguata al mutare delle nostre preferenze, scelte o, semplicemente, in un contesto differente.


Se vogliamo quindi avere successo in un ambito diverso, nasce il bisogno di reimpostarla per renderla più specifica e funzionale alle rinnovate ambizioni personali. Per raggiungere prestazioni eccellenti, se il nostro desiderio è diventare esempi viventi di efficienza ed efficacia, quel mindset primario ancora troppo ruvido, deve trasformarsi entrando in una tecnicalità esasperata, orientandosi necessariamente in maniera più verticale possibile rispetto allo scopo.

Che si tratti di affermarsi nello sport come il più grande campione di tennis, diventare il più abile dei programmatori informatici, oppure un hacker in grado di violare un sistema di sicurezza “blindato”, il principio rimane sempre lo stesso: costruire uno specifico mindset, efficace per quel particolare scopo.

Il caso del pirata informatico è stato fatto volutamente, in maniera provocatoria, per chiarire che il mindset prescinde dalla sfera etica: esso è pura forma in quanto tale. Come gli altri, quindi, il truffatore – la cui etica è indubbiamente discutibile se non del tutto riprovevole – è in grado di creare una propria forma mentis che gli permetta di raggiungere i suoi fini, per quanto censurabili essi siano dal punto di vista squisitamente etico.

Il mindset diventa il mezzo più efficace per ottenere degli obiettivi, indipendentemente dalla natura lodevole o più o meno lecita degli stessi.



[1] Tale concetto allude alla mancanza di conoscenze a priori (nella Roma antica, per l’appunto, una tabula rasa era una tavola di cera utilizzata per scriverci sopra che, al bisogno, veniva opportunamente cancellata per poi imprimervi parole e frasi diverse) e, di conseguenza, alla totale potenzialità di acquisizione di qualsiasi conoscenza. Già a partire da Aristotele, si era espressa l’idea di un essere umano che nasce senza niente di innato dal punto di vista conoscitivo.



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